Ponte Missioni – Ottobre 2017
Missionari pochi per molta messe
Non si scappa: o la teologia o l’ideologia. Se non la smettiamo di voler incastrare Gesù – il primo e più grande missionario – dentro la gabbia di schemi geometrici e di modelli preconfezionati, finiamo per affondare nelle sabbie mobili di ideologie nebbiose e astruse. Come quando ci mettiamo a dibattere fino alle convulsioni se viene prima la formazione umana o quella cristiana. Se la promozione umana fa parte o meno dell’evangelizzazione. Se si deve cominciare dai vicini o dai cosiddetti ‘lontani’. Se prima viene la formazione del gruppo, e dopo, solo dopo, il suo invio in missione…
Al contrario la missionarietà di Gesù – rilevata dalla teologia – riscontra profili precisi ed estremamente concreti. Il primo è che Gesù attira le folle, ma non si lascia imprigionare dal loro abbraccio soffocante. Affascina ed entusiasma la gente, ma non ha paura di deluderla. Non insegue mai il successo, neanche quando, dopo il segno dei pani, vengono per farlo re. Non rincorre la facile popolarità. Il secondo tratto è che Gesù progetta la sua pastorale in funzione delle moltitudini (i ‘molti’ lontani), non in funzione dei pochi vicini. Questo significa che Gesù pensa la comunità in direzione della missione, non viceversa. Il terzo tratto è che Gesù, proprio perché proteso verso i lontani, forma una comunità di ‘vicini’ ai quali dedica tempo e cura.
Pertanto la comunità non può in nessun modo limitare o contrastare la missione. Per non correre questo rischio fatale, occorrono alcune attenzioni imprescindibili. La prima è che il gruppo di Gesù sia e rimanga unito, ma diversificato nella sua composizione: peccatori, pubblicani, zeloti, giusti e peccatori. Ricordando sempre che l’unità senza diversità si appiattisce sull’uniformità. E viceversa: la diversità senza unità si disperde nella frammentazione. Inoltre Gesù forma il gruppo non soltanto alla comunione, ma alla missione. Se la sua prima parola è ‘seguitemi’, l’ultima è ‘andate’. Il seguire il Maestro è già pensato in vista dell’andare. Ma il tratto più sorprendente è un altro: Gesù non solo manda il gruppo in missione, ma lo porta, lo guida, lo sostiene, l’accompagna: “Io sono con voi tutti i giorni”. Se, dunque, la prima coordinata della ‘pastorale’ di Gesù è la missione, la seconda è la comunità. La terza è la comunità in missione: in cammino. Sullo stile e con la presenza del buon Pastore-Missionario: verso i lontani con la piccola comunità dei vicini. Infine due brevi considerazioni. La prima: la missione della Chiesa è animata dalla spiritualità del cammino. Bisogna smettere di ‘balconare’, di stare alla finestra (papa Francesco). Occorre coltivare il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del vangelo. Dunque, esodo, cioè ‘uscire’: andare fuori, raggiungere quanti hanno bisogno di essere abbracciati dall’amore del Crocifisso-Risorto. Ma – ed è l’ultima considerazione – non si può uscire se non insieme. È l’ora del sinodo: camminare insieme.
È l’ora della missione: esodo e sinodo.
Insieme.
Mons. Francesco Lambiasi
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